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Erica Mou: “L’Edera, il mio personale omaggio alle cose che restano un po’ più nell’ombra”.

today12 Novembre 2016 8

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È uscito lo scorso 7 Ottobre il nuovo singolo di Erica Mou, cover dello storico pezzo di Nilla Pizzi portato a Sanremo nel 58 e classificatosi secondo dietro Modugno:”L’Edera”.

Ecco quello che ha raccontato ai microfoni di Radio Stonata in attesa del nuovo album di inediti.

So che c’è un legame personale-affettivo e familiare molto forte con questo pezzo, vuoi spiegarci il perché della scelta de L’Edera?

Sì, io sono comunque una fan di tutto quel periodo splendido della canzone italiana d’autore a cavallo tra gli anni 50 e 60, forse dei 60 ancora di più. E questa canzone io l’ho sempre sentita cantare a mia nonna, che è un po’ la mia spacciatrice di musica di quegli anni. Io infatti dico sempre che io ho cantato la cover di mia nonna e non di Nilla Pizzi. E poi a Sanremo è arrivata seconda proprio l’anno di “Nel Blu Dipinto di Blu”, un anno in cui per una canzone emergere era davvero difficile. Quindi è anche un mio personale omaggio alle cose che a volte per una serie di circostanze restano un po’ più nell’ombra.

Cosa ti porti dentro dell’esperienza del Dynamo Camp. Il videoclip de L’Edera è girato in quel contesto, vuoi raccontarci qualcosa a riguardo?

Il Dynamo Camp è una realtà che io avevo già conosciuto. Avevo partecipato ad una loro iniziativa nell’ospedale pediatrico di Palermo ed è una realtà dalla quale non puoi non sentirti ispirato. Ho incontrato un sacco di ragazzi splendidi, vogliosi di fare e suggerisco a tutti gli ascoltatori di informarsi per capire che cos’è Dynamo Camp.

Tornando a L’Edera, tu sei una che si è più volte cimentata con cover e reinterpretazioni di pezzi di altri artisti. E ogni volta il tuo background stilistico e la tua interpretazione vengono fuori in maniera spiccata, dirò un po’ una frase fatta, ma “li fai tuoi” i pezzi e si sente. È un approccio che ti viene automatico con tutti i pezzi o ci sono state delle canzoni che non sei riuscita a rendere di Erica Mou?

Diciamo che alla fine quelle che scelgo hanno sempre una forte motivazione, se cerco di suonare o addirittura di registrare un pezzo di un altro artista è comunque perché sento un forte legame con quello e lo faccio mio. È la deformazione professionale da cantautrice, tutti i brani cerco di filtrarli come se li avessi scritti io. Ed è la bellezza in assoluto della musica bella, quella che passa i decenni con scioltezza perché non è più dell’artista originario ma riesci a sentirla tua. Se dovessi rifare una canzone identica all’originale, sinceramente eviterei perché son tanto belle quelle originali che non ne vale la pena proporne una uguale…

Tu hai sempre avuto un rapporto particolare con il cinema, la tua musica è stata spesso abbinata ad importanti colonne sonore. Un mese fa invece hai inciso un brano per un romanzo, “La strada del ritorno è sempre più corta” di Valentina Farinaccio. Com’è scrivere una canzone partendo da un libro come punto di riferimento, richiede un processo creativo differente?

Guarda, a me è successo due volte quest’anno. Sia a Febbraio col libro di Chiara Gamberale “Adesso” sia col romanzo della Farinaccio, per cui dal non averlo fatto mai mi sono ritrovata a scrivere due brani per due romanzi di due donne e scrittrici bravissime e che stimo molto. Richiede un processo creativo differente in cui c’è molto rispetto per le parole degli altri, mentre col cinema lavori partendo dall’immagine che non è una cosa tanto lontana da quello che faccio di solito perché quando compongo qualsiasi canzone comunque nella mia testa c’è un’immagine da cui parto. In questo caso però parti dalle parole di altri e devi cercare di accostarle senza travolgerle o falsarle troppo, è un lavoro molto delicato e molto edificante. In entrambi i casi dico che i pezzi li ho scritti con le scrittrici, perché ho “rubato” molto dai loro romanzi quindi mi ha stimolato anche a sperimentare qualcosa di nuovo.

Facendo un passo indietro al tuo ultimo album, “Tienimi il posto”, è passato ormai poco più di un anno: con quali occhi si guarda un disco a distanza di tempo e soprattutto la percezione di quello che rappresenta il disco e di tutto quello che ha avuto alle spalle, cambia?

Assolutamente, cambia tutto. Ma a volte cambia già dal momento in cui lo registri ai mesi che passano per la pubblicazione. Nel momento in cui lo pubblichi hai già trovato altri mille significati e ti sei già approcciato al disco in maniera diversa, poi se conti che di mezzo hai fatto un tour e hai suonato le canzoni tante volte – confrontandoti in maniera diversa con ognuna di esse – cambia tutto. Quando esce un disco hai un amore smisurato e un senso del doverlo difendere che poi quasi svanisce, più il disco cresce, più lo lasci andare. Non senti più quel dovere di doverlo tutelare a tutti i costi. Gli dai molto più spazio. Io sono molto contenta di “Tienimi il posto”, è un disco che mi ha aiutato. In quel momento ero profondamente convinta di quello che facevo, come con tutti i dischi che ho fatto. Adesso comincio a pensare al nuovo fratellino…

Ci puoi spoilerare qualcosina?

Sinceramente non saprei che dirti perché è tutto in divenire. Però ti posso dire che in questi 14 mesi io ho scritto tanto, tantissimo. “Tienimi il posto” raccontava un passaggio, una fase della mia vita. E poi nel momento in cui questa fase si è concretizzata ovviamente mi ha portata a scrivere tante cose nuove. E proprio in questi giorni sto cominciando a raccoglierle per capire cosa ho fatto e dove voglio andare.

Mi tocca farti una domanda di rito, torneresti al Festival di Sanremo?

Sì assolutamente, ha aiutato molto la mia carriera. È una di quelle sfide che ogni tanto vanno fatte, per risvegliarsi un po’. Sanremo è sì faticoso, un circo bellissimo, quasi non lo vuoi fare prima però non appena ci sei dentro – come nelle giostre – vorresti fare altri 100 giri. Prima o poi nella vita mi piacerebbe tornarci.

 

Podcast dal min 9:50

 

 

Scritto da: Andrea

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