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Rihanna a San Siro: la NON recensione dell’ANTI World Tour

today14 Luglio 2016 15

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Piovono polemiche per la seconda tappa italiana dell’ANTI World Tour di Rihanna tenutasi ieri, mercoledì 13 Luglio, in quello che molti artisti (e non solo) italiani considerano probabilmente l’apice, il punto di arrivo estremo nel loro percorso di live, IL culto nostrano: San Siro.

Ed è proprio da questo che si dovrebbe partire. Smantellare questa concezione in riferimento a quello che non si prefiggeva essere un concerto evento ma semplicemente una tra le 75 tappe dell’ultimo tour della cantante barbadoregna. Nell’era odierna setlist e video dei tour – soprattutto internazionali – sono fortunatamente disponibili in rete sin dalla prima tappa. Per cui aspettarsi in scaletta pezzi come Don’t Stop the Music, Only Girl, S.O.S, Pon de Replay, Te Amo era abbastanza surreale. Sia perché non esiste mondo dove le scalette o il concept di un tour si stravolgano per una singola data, sia perché i fan (e i ben informati) sapevano sin dall’inizio che l’Anti World Tour si presenta come un tour “minimal” ma stilisticamente coerente. E la cosa è percepibile sin dall’aspetto visivo e scenografico. Per capirci: se vi aspettavate uno di quei grandi baracconi pop con scenografie in cartapesta giganti, palloncini, coriandoli, 82 ballerini, altalene volanti, eravate fuori pista. Che poi, è risaputo, spesso il gran contorno serve a sopperire a vuoti e mancanze forse ben più gravi.

Il tour – proprio come internet ci suggeriva sin dal Marzo scorso – si apre con una ballad (e che ballad): Stay. E prosegue con un interlude di Love the Way You Lie (Pt II) che anticipa un’ulteriore e recente tendenza dei live della scena urban americana (leggasi Beyoncé e Kanye West): i medley. Ovviamente quando si parla di medley non immaginateveli come quelli di Demo Morselli nella Buona Domenica dei tempi d’oro, con tagli improbabili e netti. Il tutto è accuratamente incastonato, mixato e collegato per fare da filo conduttore musicale al pezzo che segue.

Che Umbrella durasse 98 secondi lo si sapeva, che Love the Way You Lie durasse una strofa e un ritornello lo si sapeva pure, che nel mash-uppone Live Your Life / Run This Town / All of the Lights Rihanna cantasse una parola per ogni snippet ce lo aveva mostrato già YouTube nei video delle tappe precedenti. Per cui, nulla da temere. Milano, l’Italia intera, non ha subito nessun trattamento di serie B se non per l’esclusione dalla scaletta di Kiss It Better e FourFiveSeconds – esclusione imposta però dal coprifuoco delle 23.30 che vige su San Siro.

Certo, la pioggia e il ritardo iniziale della cantante avranno sicuramente penalizzato per aspetti prettamente tecnici la totale buona riuscita dello show. Ma che Rihanna non fosse un tipo che vien fuori sul palco alle 19 in accappatoio e sotto la pioggia battente per urlare al suo pubblico “LA PIOGGIA NON CI FERMERA’ CASSO!” era abbastanza scontato. Un po’ imbarazzante la divisione tra prato gold e prato dei poveri, col primo semivuoto e movimentato dai soli snap di Noemi e il secondo sconfinato a diversi metri dal palco in perfetta tradizione Titanic.

Quella che l’Anti World Tour ci mostra è una Rihanna dedita interamente allo stile dell’ultimo disco (10 pezzi in setlist fanno infatti parte di Anti, che ricordiamolo: non è un greatest hits), ma soprattutto una Rihanna che ha abbandonato le coreografie minuziose e meticolose per muoversi sul palco un po’ come le pare. E qui vien fuori la seconda tendenza, quella del “marcare” che sostituisce il performare. Esattamente come quando Maura Paparo nelle edizioni dei tempi che furono di Amici chiedeva ai ballerini di ripassare le coreografie soltando “marcandole”. Ed è quello che fa Rihanna. Per scelta, per moda, per indole, per scazzo o probabilmente per tutte e 4. Nel Formation World Tour di Beyoncé troverete sicuramente coreografie da capogiro, ma per poter ballare l’80% dello show anche una grande voce come quella di Beyoncé ha dovuto adattarsi ai pre-rec vari, a lasciare parti interamente cantante dalle folle o non cantate per niente o ancora semplicemente marcate col labiale proprio perché la funzione del microfono diventa secondaria rispetto al contesto. Piccolo reminder: anche qui, se vi aspettate 3 minuti pieni di Single Ladies o di Crazy in Love sappiate che la prima non compare per niente nella setlist e la seconda è nella versione remix del 2014 dalla soundtrack di 50 Shades of Grey, salvo poi esplodere in un outro di 60 secondi della versione originale per permettere a Beyoncé di fare la passerella a passo falcato come da prassi. Anche nel Formation World Tour a farla da padrone sono snippet e medley di pochi minuti. Baby Boy piazzata lì per 50 secondi tra Mine e Hold Up, Bootylicious e Naughty Girl che insieme non arrivano al minuto e mezzo. Per andare incontro ad esigenze di scaletta che prevedono dai 25 ai 30 brani e che possano rientrare nei 90 minuti canonici previsti. Che a sbagliare siano gli americani nell’aver stravolto le regole in questo senso o noi italiani ad aspettarci concerti ai quali i nostri artisti ci abituano, in cui alle hit viene dato più spazio rispetto ai nuovi brani che dovrebbero essere rappresentattivi del tour, non sta a noi deciderlo. Di sicuro è un po’ un problema di nostra mentalità musicale il percepire quella che ormai è una “tendenza performativa” come mancanza di rispetto verso il pubblico.

Che i famigerati miglioramenti vocali rispetto al passato ci siano, Rihanna lo dimostra ampiamente nei momenti-accendino (badate che alla fine ci ha voluto bene) di Diamonds e Love On the Brain. L’empatia con il pubblico è sempre soggettiva, in questo caso poi le critiche sono quasi comprensibili da chi non segue Rihanna assiduamente ed è rimasto alla sua dimensione da popstar preconfezionata. Certo, c’è sempre da ribadire che bastava informarsi e documentarsi sui social che consultiamo ogni giorno – anche in vista delle lamentele sul rapporto prezzo-spettacolo – per prevenire l’eventuale delusione. Anche a scapito dell’effetto sorpresa/spoiler.

Rihanna, sin da Rated R (ma già in sprazzi di Good Girl Gone Bad) è sempre stata più vicina al club-trap e all’rnb contaminato da electro e dub di Pour It Up, Jump, Woo, Sex with Me, Numb, Needed Me di quanto si possa pensare. Rihanna nelle viscere (e per natura) è più dancehall reggae di quanto sia dance e pop come in We Found Love. E prendersi il rischio, ad un certo punto della carriera, di basare uno show sul proprio gusto personale più che su quello che tirerebbe per la maggiore – al di là di tutto – meriterebbe anche un gran bel chapeau.

Se poi a fine show le si chiede maccheronicamente “Rihanna, please firm! Rihanna firm for charity!” per ricevere un autografo, di certo almeno qui non si può dar la colpa alla sua bitchness.

Setlist:

01 Stay
02 Interlude: Love the Way You Lie (Pt.II)
03 Woo / Sex with Me
04 Birthday Cake (intro)
05 Pour It Up
06 Numb (outro)
07 Bitch Better Have My Money
08 Pose
09 Consideration (intro)
10 Live Your Life / All of the Lights / Run This Town
11 Umbrella (outro)
12 Desperado
13 Man Down
14 Rude Boy
15 Work
16 Interlude: Take Care
17 We Founde Love (mash-up with How Deep Is Your Love)
18 Where Have You Been
19 Needed Me
20 Same Ol’ Mistakes
21 Diamonds
22 Love on the Brain

Encore:
23 FourFiveSeconds
24 Kiss It Better

Scritto da: Andrea

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